Quando Luis FIGO passò dal Barcellona al Real Madrid, al primo “el clasico”, i tifosi catalani gli lanciarono una testa di maiale caduta sul terreno di gioco come una bandiera che cade sul campo di battaglia.
Fu posta così, forse, la parola fine al discorso “bandiere di una squadra” e portando avanti quello del mercenariato calcistico già innescato in un certo senso dalla Sentenza Bosman e rafforzato ancor di più dalle ormai famose “Clausole rescissorie”.
Queste ultime, a loro volta, hanno esteso il termine “mercenario” anche ai presidenti delle società e non solo agli stessi calciatori, concedendo ad entrambi la possibilità di nascondersi agli occhi dei tifosi dietro futili scuse, giustificazioni ed accuse reciproche.
Vero è che pare esistano sempre gli “indelebili” come Del Piero, Maldini, Zanetti, bistrattati, come per il primo, o onorati come il secondo, dalle stesse società a cui sono rimasti e rimarranno legati a vita, spalleggiati dagli “intramontabili” come il pupone, rimasto alla “Magica” nonostante le numerose richieste e offerte, pur sempre però con la garanzia di un contratto faraonico a suon di una montagna di sesterzi, finendo con i “generazionali” come lo “scugnizzo napoletano” che però per restare a Napoli e diventarne il simbolo chiede lo stesso una montagna di soldi.
Allora ci chiediamo quale sia e se c’è, il termine giusto per appellare una “bandiera” e se per esserlo ci vuole più spessore umano oppure più soldi e ancora soldi.
Quando un calciatore firma per una maglia, si lega in un certo senso ad una città, ne assorbe e ne respira gli usi, i costumi, le abitudini, i modi di fare e di essere.
Nella maggior parte dei casi però, sembra che contino solo i milioni, anche se poi si scalda una panchina o si gioca in nazioni dove la lingua madre non la si imparerà mai.
Dove si rinuncia ad amici, affetti e altro, perché in fondo si è troppo poveri dentro per nutrirsi d’altra cosa che non sia il denaro e quindi a questo punto è meglio andare a baciare altre maglie e ad esultare sotto altre curve.
A poche ore da una partita che sarà il “non plus ultra” per un uomo che una bandiera non è, non lo è stata e non lo sarà per nessuna squadra.
Il chiaro esempio di quella specie in estinzione che sono le bandiere, quello che ha cancellato la scomparsa definitiva dal vocabolario calcistico le parole “Simbolo” e “Bandiera” per una squadra.
Uno che è stata una moglie perfetta per sei milioni di mariti ricevendo un amore senza confini, ma che all’amore ha preferito il desiderio ardente e finanche lussurioso.
Lo ha fatto in silenzio, di nascosto, forse anche con un po’ di vergogna facendo covare l’odio di chi si sente trafitto rilevando nel traditore i sintomi della soddisfazione.
Ha trasformato in masochisti coloro che sfogliano l’album dei ricordi riguardando i momenti di gloria che ha regalato.
Gonzalo, colui che in uno stadio troverà l’inferno dove si consumerà più che in ogni altra occasione la morte di quella morale che può battere qualsiasi barriera e far felice il popolo e che contrariamente invece sceglie il peso dei soldi a quello delle responsabilità.
Si sentiranno le fiamme delle sei milioni di anime che ha tradito e di tutte quelle che ancora credevano di potersi identificare in quella famosa “rovesciata” per poter credere ancora in quegli esempi di dignità che ogni individuo debba dare.
Mah… di Higuain non direi che è andato via per soldi, per gloria forse, quella che gli aveva promesso il presidente DeLa e non gli ha mai dato. Il contratto di Higuain al Napoli era pronto e con la stessa cifra che gli ha dato la Juve, solo che la Juve, e si vede, gli sta dando un palcoscenico diverso da quello che purtroppo il Napoli offre ai suoi campioni